Ricette delle Langhe: la Sòma d'aj, tra cucina ed etimologia
Se andiamo indietro nel tempo, e vogliamo ricordare un pasto tipico dei lavoratori di campagna delle Langhe, allora dobbiamo parlare della Sòma d'aj accompagnata dai grappoli d'uva matura, dai pomodori e a volte, arricchita con qualche pezzo di toma. Ora vi spiego meglio.
La Sòma d'aj, è un modo semplice e rustico di condire la fetta di pane con una strofinata d'aglio (aj) e un giro di buon olio extra vergine, magari quello nuovo, e per finire un pizzico di sale. Nell'operazione di condire il pane, riveste importanza la crosta che essendo resistente trattiene meglio l'aglio e a seconda dei gusti si può abbondare o solo profumare. Si può preparare sia con il pane fresco (da noi la forma tipica sono le biove o le paesane con crosta ruvida e poca mollica) sia con il pane tostato che aiuta a condire meglio la mollica.
Io che non amo molto l'aglio preferisco la versione per i più piccoli, la Sòmina (così la chiamano a casa di mio marito), dove si strofina la fetta di buon pane con il pomodoro maturo intinto nell'olio buono e finito con un pizzico di sale. La perfezione si raggiunge schiacciando la fetta di pomodoro maturo per benino, per far assorbire alla mollica tutto il sugo! La mangiamo volentieri in estate con il moscato bello maturo (quando gli acini sono belli croccanti, e dall'aspetto "risunent" arrugginito) o l'uva dolcetto.
Più avanti, a fine novembre quando le vendemmie sono finite, nei filari si possono ancora scorgere i "rapulin" (piccoli grappoli) anche detti "Rape d'San Martin", grappoli di San Martino perché sono ancora acerbi, poco maturi, durante la vendemmia di ottobre e completano la maturazione verso la metà di Novembre (San Martino è l'11 novembre). Sono piccoli grappoli abbandonati, ma una volta venivano utilizzati per una seconda vinificazione.
Il nonno Emilio utilizzava questi grappoli piccoli di Novembre e li univa ai raspi della pigiatura dell'uva matura (fatta a fine vendemmia), li faceva fermentare e otteneva la "pichetta" un vino rosato da bere fresco durante l'estate.
Approfitto del post per proporvi un'interessante articolo scritto da Paolo Tibaldi pubblicato su Gazzetta d'Alba che ben spiega il significato e origine di sòma. Paolo Tibaldi è un punto di riferimento per approfondire la ricchezza del linguaggio del nostro dialetto.
Sòma: Asina; pane soffregato di aglio olio e sale; infimo epiteto rivolto ad una donna
C’era una volta un uomo che stava transitando presso un paese delle nostre colline e, avendolo visto una donna che lo riteneva maldestro, gli gridò con tutto il cuore Aso! (asino!). L’uomo, senza pensarci un attimo, replicò altrettanto sonoramente sòma! La donna, stizzita e offesa, andò a denunciarlo, ma la causa fu vinta da lui poiché dimostro che l’animale su cui si stava facendo trasportare era una femmina d’asino, in piemontese contraddistinta dalla parola sòma. Dunque, l’esclamazione di lui andava soltanto a puntualizzare un’informazione errata della donna.
Sappiamo anche che la sòma, è un cibo povero e sano tipico delle zone in cui viviamo, merenda autunnale sfruttata in tempo di vendemmia: fette di pane abbrustolito nel forno a legna, sulle quali si strofina più o meno intensamente uno spicchio d’aglio e, dopo un filo d’olio e un pizzico di sale, è pronto per essere assaporato, magari ancora un po’ tiepido. Ecco quindi la sòma d’àj, antesignana della bruschetta.
Cos’è che accomuna queste due entità così differenti e magari distanti tra loro? Sòma intesa come asina e sòma inteso come cibo povero piemontese. Il primo ci fa pensare senz’altro alla parola somaro, vale a dire l’asino, con prevalente riferimento alle funzioni di lavoro proprie dell’animale, tant’è vero che la somà è la gran quantità di carico che si pone sulla groppa di un animale da trasporto.
Tocca ricorrere al latino volgare dove SAUMAM è proprio la grossa quantità, l’assonanza con somma è evidente. Ecco quindi che il significato di cibo povero costituito da pane insaporito con olio e aglio, può aver influito nel senso di carico, grossa quantità; oppure ancora l’analogia con il carico dell’asino che gli si strofina sul dorso.
Non possiamo non enunciare che la parola di oggi vale anche a mo’ di ignominia per una donna dai facili costumi, disprezzata per le azioni disonorevoli che la accompagnano. Epiteto di disprezzo verso colei che è nota per essere ruffiana e dispettosa. Chissà che non fosse proprio quella l’intenzione esclamata dall’uomo che vinse la denuncia! Paolo Tibaldi
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